VIAGGIO A BERLINO

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[av_heading heading=’VIAGGIO A BERLINO 11/14 LUGLIO 2013′ tag=’h4′ style=’blockquote modern-quote’ size=” subheading_active=” subheading_size=’15’ padding=’10’ color=” custom_font=”][/av_heading]

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“Chi ben comincia è già a metà dell’opera” e “Il buon giorno si vede dal mattino”, sono due tra le più note perle di saggezza popolare che,  come molti di noi hanno avuto modo di verificare, dicono il vero. Tuttavia quando qualcosa parte con l’inciampo, ma l’opera la si porta a conclusione esattamente come la si aveva in mente, la soddisfazione è quasi maggiore rispetto a quando tutto fila liscio. Del resto se gli ominidi nostri progenitori avessero avuto vita facile, probabilmente oggi somiglieremmo tutti a un Calderoli qualsiasi, sia fisicamente che nelle funzioni assai elementari del suo cervello (?). E non è un caso che una terza perla di saggezza popolare, altrettanto nota, reciti così: “La necessità aguzza l’ingegno”. Se, quindi, da una parte è stato drammatico scoprire che il bagaglio a mano – nonché unico bagaglio previsto per il viaggio a Berlino – recuperato dal grande ventre del bus-navetta che collega la Stazione Centrale di Milano con l’Aeroporto di Malpensa non era il mio, dall’altra la soddisfazione per aver risolto la faccenda senza arrecar danno al resto del gruppo è stata grande! Certo, sono partito il giorno dopo e la somma che ho dovuto integrare –tra una cosa e l’altra – è troppo vicina al costo di un biglietto aereo Roma-Cairo A/R, che per me è il termine di paragone per capire il valore delle cose. Certo, poter utilizzare gli smartphone per comunicare e poter contare su un’agenzia di viaggi seria e competente come la Seshat, che prontamente ha risolto alcuni problemi tecnici e logistici, è stato determinante. Certo, poter cambiare il programma di viaggio in corso d’opera perché lo si è voluto flessibile fin dall’inizio, ha facilitato le cose. Ma è per tutto questo che alla fine, dopo aver risolto uno alla volta tutti i problemi che mi si sono parati davanti, è stato particolarmente bello raggiungere e riabbracciare coloro che erano partiti regolarmente il giorno prima e proprio nei pressi di uno dei luoghi culturalmente più significativi di Berlino: la Museuminsel, l’Isola dei Musei!

Il termine “Isola” non ha un recondito significato metaforico. L’area su cui sorgono ben cinque tra i più prestigiosi musei del mondo, è davvero un isolotto formato dallo Spree – il fiume che attraversa la città – e dallo Kupfergraben, un canale che si stacca dallo Spree per poi ricollegarvisi dopo aver compiuto un’ansa, creando in questo modo una vera e propria superficie insulare. L’intera isola nel 1999 è stata dichiarata dall’UNESCO “Patrimonio Mondiale dell’Umanità”, grazie alle straordinarie collezioni contenute nei suoi musei: Altes Museum, Neus Museum, Pergamon Museum, Alte Nationalgalerie, Bode Museum, e anche grazie alla presenza di altri edifici di grande interesse storico, come la maestosa Cattedrale. Ma il nostro programma non prevede nulla che sia stato costruito o realizzato prima della nascita di Cristo, almeno non adesso! Ci attende invece il Neus Museum; ci attende una delle più importanti collezioni egizie del mondo che in esso è custodita; ci attende uno degli eventi egittologici che ha contrassegnato la fine dello scorso anno e i primi mesi del 2013. Un evento inserito tra le attività legate al centenario della scoperta del celebre Busto di Nefertiti: la mostra che i curatori del museo hanno voluto dedicare al periodo Amarniano, che dal punto di vista della produzione artistica e cultuale è certamente tra i più significativi dell’intera storia dell’antico Egitto. Un altro evento egittologico però ci attende, prenotato già un mese fa, che mi incuriosisce molto. Ormai da tempo viene ospitata in alcune delle principali città d’Europa, una mostra del tutto particolare. Si tratta della riproduzione della tomba di Tutankhamon e di un migliaio tra i più famosi reperti del suo corredo funerario. Gli originali sono custoditi nel Museo Egizio del Cairo in un apposito settore interamente dedicato al sovrano fanciullo e non possono per nessuno motivo lasciare l’Egitto. Se ne parla bene, anche da parte degli addetti ai lavori, sono quindi curioso di vedere con i miei occhi la qualità del lavoro svolto dai moderni “artisti del faraone”. Adesso però è il momento dei veri artisti, quelli che lavorarono per davvero per i sovrani d’Egitto, e ci procuriamo un biglietto che ci consentirà il libero ingresso in tutti i musei dell’Isola per le prossime 48 ore, compresa la mostra che vogliamo visitare, che è gratuita. “In the light of Amarna. 100 years of the Nefertiti discovery”… >>
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L’ingresso della mostra è lo stesso della collezione egizia, quindi il primo passo da fare è affrontare i due custodi armati di lettore di codice a barre, che ormai intuiscono rapidamente la nazionalità del visitatore e salutano nelle rispettive lingue d’origine. Il secondo passo consiste nell’affrontare l’energica signora preposta al controllo dell’abbigliamento che invita, più o meno gentilmente, a scegliere tra depositare gli zaini al guardaroba o girarseli sul davanti a mo di marsupio. Precauzione necessaria per evitare che qualche visitatore un po’ maldestro colpisca e abbatta uno dei reperti non protetti dalle vetrine. Come dargli torto? L’inizio della mostra è da levare il fiato. In un’unica infilata, talmente ricca che non è possibile tenere fermo lo sguardo su di un solo reperto, sono esposti oggetti che per me si compongono rapidamente come in una bibliografia, dove mi appaiono nitidi i titoli e le copertine  dei libri dove li ho osservati per anni, dove li ho studiati e confrontati. E’ un tuffo nel mio mondo, fatto di arte e bellezza antiche, di silenzio, del fruscio dei fogli di carta e del loro inconfondibile odore, degli appunti scritti a matita su fogli di carta riciclati ovunque. E già la prima meraviglia esposta presenta un mistero: un manufatto in avorio dalla forma singolare, dove è rappresentato un sovrano nella classica scena in cui abbatte i nemici dell’Egitto. E’ stato trovato nella casa Q 48.1 ad Amarna, ma i cartigli lo identificano come “MenkheperuRa”, ovvero Thutmosi IV. Nessuno è ancora riuscito a spiegare in modo soddisfacente il motivo per cui questo reperto si trovasse in Akhetaton, anche se va ricordato che questo sovrano era il nonno di Akhenaton. Ma subito accanto, un oggetto dalla forma ovale interamente ricoperto di segni geroglifici, attira la mia attenzione. D’istinto allungo la mano come per toccarlo, ma la vetrina ferma il mio movimento e resto immobile, con lo sguardo incollato sullo “Scarabeo del Matrimonio”. Gli scarabei di emanazione regia venivano utilizzati per commemorare fatti e avvenimenti importanti. Quello che sto guardando racconta di un evento straordinario: Amenhotep III sposa Tiye, che qui viene identificata come Grande Sposa Reale, che sarà madre di Akhenaton. Amenhotep si presenta qui con la sua titolatura completa e sono nominati anche i genitori di Tiye, Yuya e Tuya.

Quante volte ho guardato questo scarabeo. Quante volte ho puntato sulla sua fotografia una lampada, usando una lente d’ingrandimento per cogliere anche la più piccola sfumatura dei segni che vi sono incisi! Accanto anche due splendidi anelli in oro, in uno il nome del padre di Akhenaton, nell’altro quello della madre. Oggetti bellissimi, di fattura mirabile, ma la mia attenzione viene catalizzata da qualcosa di veramente unico. E’ piccolissimo, misura solamente 5×4,4×9,5 cm, ma la suggestione che evoca è fortissima perché fa riferimento a un momento drammatico della vita di Amenhotep III e di sua moglie Tiye: la morte del figlio primogenito, Thutmosi. Ben sappiamo come Akhenaton non fosse destinato a salire sul trono delle Due Terre e che acquisì questo diritto in seguito alla morte del proprio fratello, ma troppo spesso trascuriamo l’aspetto umano di questa tragedia. E’ pur vero che occorre fare le dovute differenze, considerando anche che la mortalità infantile a quel tempo era molto elevata e che l’età media, al contrario, era molto bassa. Ma essendo io stesso padre, l’idea che Amenhotep sia sopravvissuto al proprio figlio è sempre stata un pugno sullo stomaco. Questo reperto, in steatite, mostra un letto funerario con zampe e testa di leone, sul quale è appoggiata la mummia del principe Thutmosi. Su di essa il ba, sotto forma di uccello con le ali spiegate, protegge il defunto e consente alla sua anima di lasciare il corpo per poi fare ritorno. Sono presenti anche Isi e Nephty, incise nei due lati corti del letto funerario. E’ davvero un’immagine commovente.

Stavo condividendo queste mie emozioni con il resto del gruppo, quando una mano pesante ha cominciato a battere ripetutamente sulla mia spalla. Una custode, con fare risoluto, mi sta dicendo qualcosa di molto serio. Non capisco assolutamente nulla, ma quello che dice ha il sapore di un cazziatone bello e buono! Forse mi sono avvicinato un po’ troppo alle vetrine e in un paio di occasioni ho persino toccato il vetro. Ma non mi pareva una cosa così grave da prevedere un discorso così articolato. Mi riprometto di fare attenzione e di rimanere distante dalle vetrine. E così ci avviciniamo a un altro bellissimo reperto, che ci mostra Akhenaton nei canoni tradizionali, anche se già sono visibili alcune parti che anticipano quelle che poi diventeranno caratteristiche peculiari dell’iconografia amarniana. E’ un blocco in arenaria proveniente dall’area templare di Karnak e che risale ai primi anni del regno di Amenhotep IV. Qui il sovrano indossa la corona “blu” e anche se lo stile ci riporta al regno del padre, un sole al quale sembrano appesi dei segni ankh, ci riporta direttamente ad Akhetaton, la città fondata da Akhenaton nel Medio Egitto.

Ma ancora la custode mi si avvicina con fare più risoluto di prima e stavolta capisco dove sta il problema: lei non vuole che io parli! Vuole che io stia zitto! Muto! E per essere chiara utilizza il linguaggio internazionale dei segni, appoggiandosi il dito indice sulla punta del naso. Esiste anche un altro segno che fa parte del linguaggio internazionale e che utilizza sempre una delle dita, che avrei tanta voglia di utilizzare in risposta a questo abuso di potere, ma siamo in casa loro e se quelle sono le regole meglio abbozzare un sorriso e buonanotte! Probabilmente tendono a proteggere il lavoro delle guide locali, quelle in forma di essere umano intendo, perché quelle in forma di I-Phone sono gratuite. Del resto siamo ancora all’inizio della prima stanza, che è piena di meraviglie che ancora dobbiamo scoprire, non possiamo già cominciare a litigare con l’ordine costituito teutonico. Passo in rigoroso silenzio davanti a un altro reperto a dir poco stupendo che mi colpisce moltissimo, anche perché ho visitato proprio da poche settimane la TT192, la tomba di Kheruef, dalla quale questa lastra fu staccata e portata via dal Lepsius nel corso delle missioni di scavo comprese tra il 1842 e il 1845. Vi sono rappresentate due figlie di Amenhotep III che impugnano entrambe un sistro a forma di naos  la cui impugnatura termina con una testa di vacca, in riferimento alla dea Hathor.

Ma come si può tacere di fronte alla testa della regina Tiye? Non si può! Il suo fascino è irresistibile, la sua fattura mirabile. Ebano, oro, argento, faience, legno pregiato sono i  materiali con i quali l’artista ha dato un volto a questa importante figura femminile dell’antico Egitto, Grande Sposa Reale di Amenhotep III e madre di Amonhotep IV/Akhenaton, impegnata direttamente nella gestione degli affari di stato. Ma dall’altra parte della vetrina che ospita questa piccola testa dal grande fascino, gli occhi della custode mi scrutano attentamente. Io le sorrido. Accosto il dito pollice e indice tra loro e li avvicino a un lato della bocca. Mimo con enfasi la chiusura di una virtuale cerniera, facendo scorrere la mano fino a raggiungere l’altro lato della bocca. Lei sorride, abbiamo fatto pace. O forse è solo un armistizio. C’è una bella cosa che i curatori del Neus Museum di Berlino hanno organizzato su uno dei più celebri reperti del periodo amarniano. Si tratta della stele dove Akhenaton, Nefertiti e tre figlie sono stati ritratti in una scena molto intima, inusuale nell’iconografia egizia, dove effusioni e gesti pieni di tenerezza catturano l’attenzione dell’osservatore. Di fianco all’originale è stata sistemata una copia appositamente studiata per consentire ai non vedenti di godere di questa meraviglia utilizzando il tatto. Una didascalia in scrittura Braille spiega quanto necessario per capire la tipologia del reperto e cosa vi è rappresentato. Altri reperti sono stati fatti oggetto di questa attenzione, compreso il celebre Busto di Nefertiti di cui avremo modo di parlare più avanti. Si tratta comunque di reperti già presenti nel museo, intorno ai quali è stata allestita la mostra che stiamo visitando. Per chi vede per la prima volta il museo non è facile capire quali reperti sono stati presi in prestito da altre sedi museali e quali in realtà fanno parte del normale allestimento. Ma poco importa, anche perché la mostra di per se è gratuita, visto che siamo entrati con il biglietto di cui già ho detto, e i reperti che riguardano questo periodo storico sono a di una bellezza unica, a prescindere. Un reperto che decisamente non appartiene alla collezione berlinese è una riproduzione in vetro colorato della TIlapia nilotica, utilizzato come contenitore di cosmetici e custodito presso il British Museum di Londra. Quando gli archeologi dell’Egypt Exploration Society lo trovarono ad Amarna, nei pressi della casa N 49.20, era in frantumi. Ma la fortuna e l’attento recupero dei pezzi da parte degli studiosi, hanno permesso una ricostruzione pressoché completa del manufatto. Il risultato è straordinario e credo sia uno degli oggetti più rappresentati sui libri che trattano in modo generico e fotografico l’antico Egitto. Ancora colori. Ancora manufatti che ti proiettano indietro nel tempo, realizzati in un materiale composito che diventa un oggetti di pregio dopo un’attenta lavorazione che prevede più fasi, la faience.

Le vetrine sono piene di piccoli pezzi, talvolta davvero molto piccoli, dai colori e dalle immagini incredibilmente vivaci. Fiori, pesci, uccelli, piante acquatiche si alternano in un caleidoscopio che enfatizza una sorta di sineddoche (o metonimia, per buona pace dei trattatisti di retorica e stilistica) basta osservarne uno con attenzione e chiudere per un attimo gli occhi, ed ecco che un intero pavimento o una grande parete prendono forma, si concretizzano e diventano quasi reali. Un frammento di pavimento è esposto all’interno di una teca e dà l’idea di cosa Akhenaton, la sua famiglia e la sua corte avessero sotto gli occhi tutti i giorni. Il termine “faience” deriva dalla città di Faenza, nota in tutto il mondo per la sua produzione ceramica. Tuttavia la lavorazione della faience egizia ha poco a che fare con la ceramica faentina, si veda a questo proposito una dotta esposizione dell’egittologo italiano Francesco Tiradritti, all’interno della prestigiosa enciclopedia Treccani.
Ecco il link: http://www.treccani.it/enciclopedia/faience_%28Enciclopedia-dell%27-Arte-Antica%29/.
Accanto a questi reperti dai colori ancora intatti, vengono mostrati alcuni stampi utilizzati dall’artigiano per realizzare le forme volute dal committente. Si vedono chiaramente stampi per orecchini, anelli, parti di collane come ciondoli e contrappesi. Vi sono anche delle forme in negativo sulle quali venivano poi sagomate le sottili lamine in foglia d’oro. Ma ci sono anche tantissimi oggetti che con quegli stampi sono stati realizzati.

E qua le fanciulle del gruppo perdono per un momento il loro naturale aplomb e cominciano a indicare anelli e orecchini, amuleti e collane come se fosse possibile acquistarne alcuni, con lo stupore e gli occhi lucidi, come quando capita loro di passare davanti a una moderna gioielleria. Ma è naturale: alcuni di quei gioielli sembrano appena realizzati e starebbero benissimo indosso a una donna d’oggi. Mi domando: chissà perché la custode con cui ho stipulato l’armistizio non interviene di fronte a tutto quel ciarlare? La cerco con gli occhi e la trovo poco distante da noi. Mi guarda per qualche attimo, poi si gira e torna vicino alla porta d’ingresso con passo lento.  Mi fa piacere che di fronte alla frivola ma autentica ammirazione per quegli antichi gioielli, abbia chiuso un occhio. Questa prima stanza ci regala ancora reperti interessanti, come ceramiche di varia fattura e statuette in tipico stile amarniano, realizzate in arenaria, ma anche in alabastro. In particolare mi colpisce un piccolo reperto alto solo 9 cm e largo 4, in alabastro appunto, su cui è stato inciso qualcosa che richiede attenzione. Nell’anno VI di regno, Amenhotep IV avvia la sua riforma religiosa dove, lo dico in questo modo per semplificare e non per banalizzare, Amon viene sostituito da Aton. In questa tavoletta il sovrano è rappresentato come la dea Shu che solleva due cartigli che contengono i nomi dell’Aton. Il gioco filologico è tipicamente egizio, perché la parola “shu” può anche significare “alzare” o “elevare” e così l’intera immagine diventa reale e potrebbe addirittura essere letta come: “Che eleva (o anche esalta)  il nome dell’Aton”, che è il terzo dei cinque nomi che compongono la titolatura reale di Akhenaton: il Nome d’Horo. Davanti al sovrano e immediatamente dietro la sua schiena, sono stati incisi i suoi cartigli, mentre all’estrema sinistra – secondo il punto di vista dell’osservatore – è presente il cartiglio di Nefertiti, indicata come Grande Sposa Reale.

E’ tempo di passare alla stanza successiva, il percorso è ancora lungo e le cose da ammirare ancora molte. Tra non molto mi troverò al cospetto di un reperto con il quale ho un conto in sospeso da molti anni, sul quale non ho mai avuto il piacere di appoggiare direttamente i miei occhi. Da questo confronto mi aspetto delle risposte!
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